Marina Abramovic: chi è, la sua storia, la vita pubblica e privata

Considerata “nonna della performance art”, dagli anni Sessanta Marina Abramovic ha cominciato a sorprendere il pubblico, con la sua forma di arte, allora (e forse ancora oggi) definita controversa. Ma chi è quest’artista? Che cosa si sa della sua vita pubblica e privata?

La sua biografia

Nata a Belgrado, in Serbia, il 30 novembre 1946, da genitori partigiani della seconda guerra mondiale, nella sua famiglia, Marina vanta anche un patriarca della chiesa ortodossa, che fu successivamente proclamato santo. La passione per l’arte, probabilmente è nata grazie a sua madre, Danica, che a metà degli anni Sessanta venne nominata direttrice del Museo della Rivoluzione e Arte di Belgrado.

Marina iniziò a dipingere a quattordici anni, quando per il suo compleanno chiese ai genitori dei colori, e per la sua prima opera usò questi ultimi, colla, sabbia, bitume e pietrisco, per comporre un tramonto su tela. Successivamente, si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Belgrado, nel 1965, dove rimase a studiare per sette anni. Insegnò all’Accademia di Belle Arti di Novi Sad dal 1973 al 1975, e nel 1974 si fece conoscere anche in Italia, con la sua performance Rhytm 4.

Dopo l’esperienza  a Novi Sad, nel 1976 si trasferì ad Amsterdam, iniziando la collaborazione con un artista tedesco, Ulay, con il quale rimase insieme anche nella vita privata per dodici anni. Da allora continuò con le performance, fino al 2012, e nel 1997 vinse il Leone d’Oro di Venezia.

Le sue migliori opere

Nella performance art, come spiega la stessa Abramovic, l’artista si fonde con la sua arte, facendo un passo di danza, dialogando o compiendo certe azioni. Nella sua prima rappresentazione, nel 1973, la Rhytm 10, Marina Abramovic usò dieci coltelli e due registratori, seguendo dei gesti ritmici, tenendo in mani i primi, ed usando i secondi per registrare la performance. Ciò permette all’arista di rivedere i suoi errori, ma non per correggerli, ma per replicarli, in modo da unire il prima e il dopo, esplorando anche le proprie limitazioni, mentali o fisiche che siano.

Tra le tre opere più significative, l’Abramovic include Freeing the Body, Freeing the Memory e Freeing The Voice, eseguite tutte e tre nel 1976, nelle quali si prefiggeva di purificarsi, sia a livello fisico che mentale, ed arrivare in stato di incoscienza.

Nella prima, in cui si muoveva fino a sfiancare il proprio corpo, si avvolse la testa con una sciarpa nera e iniziò a muoversi al ritmo di un tamburo africano, per ben otto ore, fino a che non cadde a terra esausta. Nella seconda, rimase semplicemente seduta con la testa reclinata all’indietro, pronunciando parole in serbo, in inglese ed in olandese, per non ricordare più nulla. Infine, durante la terza performance, si mise supina, sempre con la testa reclinata all’indietro, spalando la bocca e sibilando suoni atoni, che somigliano dapprima a richieste d’aiuto, per poi passare a toni più introversi ed incontrollati.

Per il suo percorso, sono state tre le città più importanti per l’artista serba: Belgrado, dove ha iniziato, Amsterdarm, in cui incontro Ulay, che divenne importante per sua formazione artistica, e New York, dove la sua arte è stata “consacrata”, e dove risiede attualmente. E sarà proprio in queste tre città che, il giorno del suo funerale, lei terrà la sua ultima performance: Marina, infatti, ha chiesto che quel giorno tre bare vengano inviate in queste tre città, ma non si saprà mai dove sarà il suo corpo.